Il cuore è un motore instancabile, una pompa continua che irrora gli organi principali del nostro organismo portando sangue e nutrimento. Tuttavia, con il passare del tempo, lo sforzo quotidiano a cui il cuore è sottoposto può metterlo alla prova. Una delle conseguenze più frequenti è lo
scompenso cardiaco, patologia nota anche come “
insufficienza cardiaca”. Pur coinvolgendo quasi
un milione di italiani, lo scompenso cardiaco è un disturbo ancora oggi misconosciuto e sottostimato.
A causarlo nella maggior parte dei casi sono i
difetti delle valvole del cuore (
insufficienza mitralica o
stenosi aortica), ma anche su questo non c’è conoscenza né informazione tra i pazienti. Le valvole non funzionano sempre correttamente e questo dipende anche dall’età. Come accade per il muscolo cardiaco, le valvole – nel movimento incessante di apertura e chiusura che avviene migliaia di volte al giorno- pian piano si usurano, soprattutto se ci sono condizioni come ipertensione, colesterolo, e altri fattori di rischio come fumo, diabete e famigliarità.
Ma chi ha problemi alle valvole – che spesso si evolvono in scompenso cardiaco - non lo sa e quindi non fa nulla per curarsi. E allora cosa è opportuno fare? Il primo passo fondamentale è il
riconoscimento dei sintomi, che compaiono il più delle volte da anziani e pertanto non valutati con la giusta attenzione. Stanchezza e affanno frequente vengono imputati solo all’età che avanza, e invece in qualche caso possono essere segni di un cuore affaticato, che non riesce più a pompare bene il sangue.
Pochi sanno che
lo scompenso è altrettanto pericoloso quanto una patologia tumorale, può infatti avere conseguenze letali se non trattato in tempo, con un elevato tasso di mortalità. Come diagnosticarlo per tempo? Servono controlli periodici al cuore: dai 35, 40 anni è consigliato fare almeno un elettrocardiogramma l’anno. Dopo i 60 anni, soprattutto in presenza di fattori di rischio, è opportuno “ascoltare” i sintomi: in caso di palpitazioni, stanchezza, affaticamento respiratorio senza un apparente motivo è bene rivolgersi al medico di famiglia e poi se necessario al cardiologo per individuarne la causa.
Se diagnosticate tempestivamente le valvulopatie cardiache oggi possono essere trattate con un
intervento cardiochirurgico o con una
procedura transcatetere, senza aprire il cuore. Le valvole possono essere sostituite o ancora meglio riparate grazie a
tecniche chirurgiche sempre meno invasive, con incisioni piccole che abbinano un miglior risultato estetico a una ripresa più rapida, importante soprattutto nei pazienti molto anziani. Le procedure percutanee, con le quale si entra con un catetere
attraverso l’arteria femorale o per via trans-apicale dal ventricolo sinistro, sono un’opzione per i pazienti più fragili, con un elevato rischio operatorio e non candidabili all’intervento tradizionale.
In ogni caso la decisione sul tipo di procedura va presa valutando caso per caso, il consiglio è rivolgersi a
centri con un volume di interventi elevato – nel caso della riparazione della valvola mitrale a centri con almeno
50 procedure l’anno - che offrano tutte le opzioni terapeutiche, così da scegliere quello più adatto a ciascun paziente.